Sono più che allarmanti i dati contenuti nel rapporto recentemente presentato dall’Istat, che riguardano tra l’altro il mercato del lavoro. Nulla potrebbe infatti trarre più in inganno che limitarsi a leggere le statistiche tradizionali che parlano nella graduale e auspicata uscita dalla fase pandemica di una sostanziale ripresa dell’economia e dell’occupazione. In realtà così non è perché, dice l’Istat, il booster (è il caso di dire con triste ironia) del Covid ha di molto accelerato tendenze che erano in moto dagli anni Novanta del secolo scorso, nella direzione di un incremento della precarietà e della povertà.

Tutto vero quindi, circostanza tutt’altro che consolatoria, quello che abbiamo sostenuto finora: che la pandemia avesse cioè messo a nudo criticità strutturali del sistema Paese e che a pagarne il prezzo, a meno di non prendere rapide e incisive contromisure, sarebbero stati i più deboli. Tutto vero con l’aggravante messa in luce dall’Istat, che cioè questa fascia di vulnerabilità è in allargamento costante e progressivo e se si pensa che i dati in questione si riferiscono all’anno passato, quando cioè gli effetti economici della guerra in Ucraina ancora non esistevano, allora la proiezione e il ragionamento sulle contromisure non possono che essere ancora più robusti.

Qualche rilevazione dell’Istat che fotografa la precarietà, che impressiona: i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e gli autonomi con dipendenti (soggetti quindi con forme di impiego più solide) sono oramai meno del sessanta per cento; nel 2021 quasi la metà dei dipendenti con lavori a termine aveva un contratto di durata di sei mesi o inferiore; i lavoratori dipendenti a tempo determinato dall’inizio degli anni Novanta al 2021 sono raddoppiati.

Per quanto riguarda i salari, si registra nel settore privato un dipendente su tre che percepisce meno di dodicimila euro all’anno e la povertà raddoppiata dal 2005, che oramai coinvolge circa il dieci per cento degli individui. A questo si aggiunge il crollo demografico, vista la diminuzione della popolazione di 658mila persone.

Credo che niente meglio di queste cifre debba indirizzare la scelta delle priorità dei prossimi mesi, gli interventi immediati e le riforme da attuare. A fronte di una situazione che non può che aggravarsi a causa dell’impennata dell’inflazione causata essenzialmente dai costi dell’energia, e l’inevitabile peggioramento di un quadro che è già debolissimo, è sul lavoro che si devono concentrare gli sforzi, e in particolare l’azione del Partito Democratico. Si intende con questo il rafforzamento completo degli strumenti a disposizione, in tutte le fasi: dalla formazione fino alle retribuzioni, per arrivare naturalmente al sostegno nei periodi di disoccupazione.

E’ importante tenerlo presente visto che proprio nei prossimi mesi, tra la redazione della legge di Bilancio e la discussione delle riforme, alcune delle quali parte costitutiva degli obblighi e delle opportunità derivanti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, le occasioni di intervento saranno significative.

Michele Fina