L’Istat e altre organizzazioni hanno nei giorni scorsi presentato una serie di dati che letti complessivamente danno un’idea precisa delle sfide che attendono il nostro Paese. In questi giorni si pone l’accento sulle stime piuttosto incoraggianti relativamente al cosiddetto rimbalzo della nostra economia nella fase immediatamente successiva a quella dell’emergenza sanitaria. L’Istat conferma l’ottimismo e quantifica la stima di crescita del Prodotto interno lordo fin quasi al cinque al cento. La preoccupazione che serpeggia maggiormente è che questa robusta ripresa possa essere minata dalla recrudescenza del contagio sotto forma di varianti che riescano a eludere la barriera costituita dal piano di vaccinazioni, magari perché non messo in atto con sufficiente efficacia e tempestività. E’ una giusta preoccupazione, che chiama naturalmente in causa oltre che la prospettiva economica quella sanitaria. Ma rimanendo in questa riflessione sulla prima, ritengo che vada integrata, e che l’analisi, la vigilanza, la risposta debbano spettare innanzitutto al Partito Democratico.

Come il Pd nella primissima drammatica fase dell’emergenza sanitaria, oltre un anno fa, è stata la forza politica che ha maggiormente inciso nella costruzione di misure che andavano a supportare i lavoratori, allo stesso modo oggi deve prendere in considerazione alcuni dati che disegnano uno scenario in cui la ripresa rischia di escludere alcune fasce della popolazione, le più colpite dalla pandemia, e porvi rimedio. La significativa crescita del Pil potrebbe infatti emergere come un dato persino illusorio, se la crescita non è distribuita e i divari – territoriali, di genere, di età – rimangono sostanzialmente intatti. E’ lo stesso Istat a ricordarci infatti che la pandemia ha lasciato un segno profondissimo nella struttura sociale del nostro Paese, aggravando squilibri già gravi: i poveri sono significativamente aumentati (di 1,5 per cento le famiglie, 1,7 gli individui, arrivando agli allarmanti rispettivi totali di 2 e 5,6 milioni), i posti di lavoro sono diminuiti di un milione di unità, un tracollo che ha riguardato, è noto, principalmente le donne e i giovani. E’ la Banca d’Italia a dirci che il 25 per cento di questi giovani (tra i 15 e i 34 anni) allo stato attuale non vanno a scuola, non lavorano e non si formano. La loro partecipazione al mercato del lavoro è di 14 punti percentuali inferiore rispetto alla media dell’Unione europea. L’Eurostat accende un faro sulle loro competenze digitali, rilevando nel nostro Paese un livello complessivo notevolmente più basso rispetto agli altri Paesi dell’Ue, e in particolare a riferimenti come Germania, Francia, Spagna. Una situazione che ha spinto il Consiglio nazionale dei giovani, organo consultivo della Presidenza del Consiglio, ad avanzare alcune proposte mirate che riguardano il settore della formazione.

Bene ha fatto Il Pd a pretendere, e ottenere, che fosse approvata una disposizione che prevede che una quota minima, pari al 30 per cento, dei posti di lavoro nei bandi legati al Recovery Plan fosse riservato a giovani e donne. Dovremo lavorare perché sia un solido punto di partenza in un percorso di sorveglianza e costruzione politica e normativa che renda il PNRR un’effettiva opportunità oltre che di ripartenza anche di redistribuzione ed equità.

Michele Fina