Olaf Scholz, cancelliere tedesco, ha affermato che l’aggressione russa all’Ucraina segna uno spartiacque, che il mondo non sarà più come prima. E’ un’affermazione drammatica in tutta la sua linearità, che centra la portata del problema. La guerra è sempre una sconfitta; bastino le prime, terribili notizie che arrivano dal fronte per riportarci a questa evidenza. Già centinaia di morti, e proiezioni di profughi e sfollati a milioni. Della follia di Putin sarà il mondo intero a pagare il prezzo, a cominciare naturalmente dalla popolazione coinvolta e colpita.

La guerra si combatte alle porte dell’Europa ed è inevitabile che questa che ne sia investita anche come entità politica, come Ue, specialmente se si considera che la conquista più luminosa raggiunta dalla sua fondazione (riconosciuta anche nei momenti storici in cui freni e ostacoli all’avanzamento del processo sono sembrati insormontabili) è stato il mantenimento della pace sul vecchio continente per un lasso di tempo senza precedenti nella storia recente. La guerra in Ucraina è dunque una sconfitta per l’Unione europea?

Se lo è credo che il nostro lavoro debba far sì che questa sia perlomeno e solo contingente, e trasformarla in un’occasione di rilancio. Simile per certi aspetti a quella che è stata la pandemia, che fu la spinta che di fatto consentì all’Unione europea di fare un altro, importante passo verso l’integrazione, attraverso la predisposizione di un imponente piano di rilancio sostenuto da un meccanismo di condivisione del debito per tanti anni dibattuto ma mai, prima di allora, realmente sul tavolo, e la riuscita sperimentazione di una collaborazione nell’acquisto dei vaccini.
Oggi di fronte alla crisi ucraina, proprio come contro il Covid, l’Ue deve sapere rilanciarsi per affermare meglio le sue ragioni di esistenza anzi, direi la sua ragione principale, la promozione della pace. Il principio guida deve essere sempre quello del perseguimento di un percorso comune, privilegiandolo rispetto agli interessi nazionali del momento. Vale in questo caso (ecco che la discussione si riproporrà come nel recente passato, si spera con ben altri esiti) per le politiche di accoglienza dei profughi e per le strategie di reazione economica nei confronti della Russia, ovvero le sanzioni, che per acquisire anche nel medio termine tutta la loro efficacia (anche di esempio nella malaugurata ipotesi che siano necessarie in futuro in scenari analoghi) necessitano anche del supporto agli Stati membri e ai settori economici che rischiano di esserne maggiormente danneggiati. E’ un discorso che chiama in causa la questione della dipendenza energetica dalla Russia (un altro terreno su cui l’Unione europea è chiamata in prospettiva a intervenire) e dei rapporti economici, più significativi in alcuni Paesi che in altri. E la scadenza, a fine anno, della sospensione del Patto di stabilità, la cui revisione è già stata messa sul tavolo nell’ambito dell’implementazione delle politiche di contrasto al cambiamento climatico. L’opzione minima della dilazione della scadenza della sospensione laddove sarebbero necessari interventi per sostenere le economie e i settori danneggiati dalle sanzioni è da prendere in considerazione, specialmente se si assume l’obiettivo politico di segnare un altro importante passo nel cammino di integrazione europea.

Michele Fina