Tra gli effetti più evidenti della pandemia, è stato detto, c’è stato quello di avere messo in luce le criticità e i difetti del sistema Paese, a tutti i livelli. A questi si sono aggiunti i danni che hanno subito le classi sociali più vulnerabili, in maniera più evidente rispetto alle altre. I precari, le donne e i giovani in misura maggiore; tutte quelle occupazioni che non sono arrivate dotate di una rete di sostegno e riconoscibilità che avrebbe permesso di attivare meglio e più tempestivamente gli aiuti; gli irregolari. La triste tendenza vale su altri piani e scale: della sottrazione improvvisa di reti e spazi di relazione sociale nel contesto urbano hanno sofferto maggiormente gli esclusi, i deboli, laddove invece gli altri hanno potuto compensare facendo leva sul domestico. E’ la conferma, a ben vedere, della indispensabile funzione della città nella società contemporanea, per definizione fatta di spazi pubblici, di cui beneficiano in primo luogo quelli che hanno meno opportunità. Investire quindi su questa precisa e peculiare concezione della dimensione urbana significa farlo a vantaggio di chi è meno fortunato.

Merita perciò menzione il percorso del progetto “Città accessibili a tutti”, promosso dall’Istituto Nazionale di Urbanistica assieme ad altri importanti enti e soggetti. Si fa carico dal 2016 di raccogliere su scala nazionale, in territori e città di diverse dimensioni, le esperienze urbane più innovative in materia appunto di accessibilità. Oltre al lavoro meritorio, l’innovazione sta nell’approccio, che non la considera meramente dal punto di vista (pure fondamentale) fisico, ovvero di eliminazione delle barriere architettoniche, quanto anche e nello stesso tempo culturale, sociale, economico. Una città accessibile è una città equa, dove nello spazio pubblico le opportunità e le possibilità di sviluppo, crescita, convivenza, sono offerte a tutti. Le politiche per l’accessibilità spaziano quindi tra diverse settori: dalla pianificazione ai trasporti, dalle infrastrutture alle reti sociali. L’idea è integrarle, fare in modo che non siano aspetti che non comunicano.

Proprio in questi giorni in una manifestazione nazionale dal nome “Urbanpromo”, il progetto presenta i risultati di una sperimentazione condotta in otto città italiane che, offrendo la propria disponibilità, hanno scelto di condividere idee e buone pratiche. L’obiettivo è arrivare a redigere principi e linee guida che possano essere di riferimento a scala nazionale. Trovo che questa idea vasta di “accessibilità”, che in fondo è un’evoluzione particolarmente centrata dell’inclusione e della partecipazione, sia un orizzonte a cui la sinistra debba guardare con interesse e umiltà. In un momento di forte cambiamento, di riflessione e rifondazione, ripartire anche dalle politiche da attuare direttamente sul territorio è una strada concreta, di immediata utilità. Ed anche un modo per ridefinire uno spazio di azione tenendo salda la necessaria vocazione di essere accanto ai più deboli.

Michele Fina