“I Presidenti e la presidenza del Consiglio dei ministri nell’Italia repubblicana: storia, politica, istituzioni” (Editori Laterza), a cura di Alberto MelloniSabino Cassese e Alessandro Pajno è stato al centro del 104esimo incontro della rubrica “Dialoghi, la domenica con un libro”: Michele Fina ne ha discusso con Melloni (professore ordinario di storia del cristianesimo all’Università di Modena e Reggio Emilia e segretario FSCIRE), presentando il lavoro come “un progetto che coinvolge molto studiosi, anche capi di gabinetto e personalità che hanno lavorato nei Ministeri e a Palazzo Chigi. Ho trovato molto interessante lo studio dell’evoluzione del linguaggio e della postura dei presidenti del Consiglio. Il primo volume girando intorno alle biografie attrae molto e oggi richiama l’attenzione sulla capacità dei diversi presidenti del Consiglio di muoversi sullo scenario internazionale. Il secondo volume è molto utile per capire il funzionamento della macchina di governo”.

Melloni ha spiegato che il progetto “nasce da alcune conversazioni con il grande storico Giuseppe Galasso. L’obiettivo era sottrarre le questioni storiografiche all’invadenza del giornalismo: l’operazione è quella tipica del lavoro storico, oggettivare e individuare le peculiarità del periodo repubblicano. Una prima opera era stata dedicata ai Presidenti della Repubblica. I presidenti del Consiglio della storia repubblicana sono 31, si individuano elementi di continuità nella loro agenda come le questioni che riguardano le mafie, gli assetti istituzionali, i fattori internazionali, le dimensioni costituzionali. Molti presidenti del Consiglio si sono trovati di fronte ad agende che hanno coinciso solo in parte con la loro volontà. Colpisce la quantità di rappresentatività democratica che il sistema dei partiti infondeva nella figura del presidente del Consiglio, che prima era contraddistinta da un linguaggio in cui spiccava la funzione pedagogica e l’ancoraggio ad alcuni importanti valori della storia repubblicana, mentre in seguito si è imposto il tentativo della disintermediazione, ovvero andare direttamente ai cittadini. Il presidente del Consiglio riceve quando comincia il suo mandato riferimenti invalicabili, quelli di un Paese europeista e atlantico, che sono stati nella storia declinati diversamente. In generale l’europeismo degasperiano era fortemente antifascista e antinazista, poi nel corso del tempo l’impostazione è diventata progettuale: il fallimento della difesa comune europea si è reso occasione per fare passi avanti ma a lungo andare lo slancio è stato indebolito dai meccanismi regolatori. Per quanto riguardo l’atlantismo, questo si è evoluto recentemente nella richiesta dell’America di una maggiore responsabilità nella difesa”.

Nel corso del dialogo sono state affrontate anche questioni di attualità, a cominciare dalla guerra in Ucraina. Melloni ha detto che “la Nato ha la capacità militare di intimidire una potenziale aggressione ma riesce a fare poco per aiutare l’Ucraina, l’opinione pubblica deve comprendere che bisogna uscire da questa logica”, riferendosi alle considerazioni di Papa Francesco.

Per quanto riguarda il presidente del Consiglio in carica, Mario Draghi, Melloni lo ha definito “un uomo di grande proiezione pubblica, per ricostruirne il profilo ci sono a disposizione molte fonti. E’ sempre stato un uomo entrato per chiamata diretta in istituzioni molto importanti, portandosi dietro la fama di allievo di Federico Caffè e al tempo stesso di keynesiano riluttante. La mia impressione è che dopo la rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale e l’incasso della rata del PNRR il suo atteggiamento fosse di quello di chi pensa che si è conclusa una stagione, poteva lasciare il passo ad altre cose se alcuni partiti avessero continuato a pensare di usare il governo come un tamburo. La guerra l’ha proiettato su materie e questioni che non sono quelle per le quali è arrivato a Palazzo Chigi, anche se può giocarsi il fatto che gode della fiducia degli Stati Uniti. Ha preso la posizione difficile dell’Europa che non può fare a meno di distinguere aggredito e aggressore e che d’altra parte si trova in un sentiero molto stretto nel quale i Paesi europei non sono stati in grado di fare altro che esercitare la funzione di replicare la posizione della Nato. In questo senso presentano il conto le riforme, sempre rinviate, delle istituzioni europee”.

Dalla centesima puntata la rubrica si presenta in veste rinnovata, avvalendosi della collaborazione di Michele Fina con l’attore Lino Guanciale, con Giovanna Di Lello (direttrice del John Fante Festival “Il dio di mio padre”) e con Massimo Nunzi (compositore e direttore d’orchestra, trombettista e divulgatore).

La registrazione del dialogo è disponibile qui.