Non c’è ancora il necessario livello di allarme per quanto riguarda l’avanzamento del progetto leghista della cosiddetta autonomia differenziata. Per come si sta configurando ci sono tutte le premesse perché prenda forma come una secessione di fatto del Paese. Non c’era del resto da aspettarsi molto di diverso, visto che è direttamente gestito dai dirigenti della Lega più contigui, per storia politica e ruolo istituzionale, alle parole d’ordine delle origini.

Nei giorni scorsi da ultimo è stato il presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick a lanciare l’allarme in un’intervista al Messaggero. Le misure contenute nella Legge di Bilancio da un lato dispongono che i Livelli essenziali delle prestazioni siano stabiliti da un semplice provvedimento amministrativo che prende atto delle intese tra lo Stato e le Regioni, assegnando al Parlamento un mero compito di ratifica; dall’altro non prevedono alcun onere finanziario per lo Stato per sostenere l’operazione. Si esclude quindi la voce “scomoda” del Parlamento, che approfondisca e denunci i rischi e i propositi di un’operazione che, se condotta senza sostegno economico ai territori svantaggiati, non potrà fare altro che allargare le diseguaglianze. Senza fondi nazionali che riequilibrino infatti le maggiori competenze che reclamano alcune Regioni del Nord non potranno che tradursi in un trattenimento di più risorse dalla fiscalità, da sottrarre quindi a tutto il Paese.

E’ un attacco al principio costituzionale che impone la pari dignità sociale fra i cittadini, tanto più grave se si pensa che a dispetto di una certa, falsa, narrazione, le diseguaglianze territoriali tra Nord e Mezzogiorno si sono negli ultimi anni notevolmente acuite. Il dato impressionante, ha messo in luce il quotidiano la Repubblica in un approfondimento del 18 dicembre scorso, è quello dell’aspettativa di vita: se quarant’anni era al Sud superiore di oltre due anni rispetto al Centro – Nord, oggi la situazione è completamente capovolta. Il Mezzogiorno è inoltre sceso sotto i livelli di fecondità del Centro – Nord (anche questo fino a poco tempo fa impensabile), ha una disponibilità pro capite di servizi dell’infanzia di tredici punti percentuali inferiore e addirittura del trenta per cento per quanto riguarda il tempo pieno alla scuola primaria. I treni al Sud sono più vecchi e le linee ferroviarie meno adeguate, per il welfare si spende meno della metà rispetto alla media nazionale per abitante.

Sono dati che fanno impressione perché di fatto certificano le diverse condizioni di cittadinanza in aree diverse dello stesso Paese. E’ in questa situazione, già critica, che si innesta l’attacco leghista che riguarda direttamente servizi come la sanità, la scuola, l’assistenza sociale. Un attacco da respingere in ogni modo per dare inizio a una nuova stagione, all’insegna di una riflessione sui mezzi necessari per invertire la rotta e ritrovare la strada di una reale coesione sociale e territoriale.

Michele Fina