“Che c’entriamo noi. Racconti di donne, mafie, contaminazioni” (Mimesis Edizioni) è il libro che è stato presentato nel 149esimo incontro della rubrica “Dialoghi, la domenica con un libro”. Ne hanno discusso Marielisa Serone D’Alò e Gisella Modica (attivista femminista e scrittrice), una delle curatrici. L’altra è Alessandro Dino.

Serone D’Alò ha detto: “Mi sono sentita molto dentro questo testo, direi agganciata. Si evince una relazione forte tra Gisella Modica e Alessandra Dino, emerge quasi davanti a tutto. Le curatrici ci portano al cuore del testo il cui scopo è quello di creare un ordine simbolico differente per contrastare la mafia, andando incontro alla presa d’atto che c’è dietro il titolo del testo, e cioè cosa c’entriamo noi con la mafia: partendo da un posizionamento preciso, che è quello del margine da cui guardare. L’operazione di mettere assieme queste storie risulta molto ben riuscita”.

Modica ha spiegato che il libro “parte da un grumo personale irrisolto e da una relazione senza la quale il testo non avrebbe visto la luce, almeno in questo modo – senza cioè lo scambio tra me ed Alessandra che è nato attraverso questo lavoro, prima non ci conoscevamo, e senza poi le relazioni tra noi e le sedici autrici dei racconti e tra le autrici stesse. L’essenza del tutto è rappresentabile con un reticolo, una ragnatela. L’idea è stata dall’inizio di non fare un saggio, piuttosto un racconto di storie incarnate. Grande soccorso e aiuto è arrivato dal pensiero decoloniale. Per tutte le contributrici è stato difficile seguendo questo approccio rispondere alla domanda: Che c’entro io con la mafia”.

La curatrice ha detto: “E’ stato fondamentale nella stesura il mio posizionamento femminista, così come che il testo sia stato pensato e scritto durante la pandemia, tanto che nei racconti, non solo nel titolo, tornano parole come contaminazione e contagio, un’idea che in quel momento storico sentivamo sulla pelle. A un certo punto si dice che la mafia è l’aria che respiriamo, che spazza via il pregiudizio che sia una specie di mondo parallelo: in molti momenti i confini si assottigliano e si confondono creando una mescolanza che crea inquietudine, una zona opaca. In quel momento c’è bisogno di uno sguardo diverso capace di penetrarla e di penetrare la vischiosità del sistema mafia, appunto il pensiero decoloniale, lo sguardo rivolto verso il basso e posizionato al margine tra un mondo e l’altro. Come quello raccontato da una delle storie, quella della collaboratrice di giustizia Carmela Iuculano. Se la mafia – come ha avuto modo di dire il procuratore aggiunto di Milano Alberto Nobili – gode oggi ancora di ottima salute, evidentemente c’è un problema di postura e non solo da risolvere, in fondo il libro serve anche a questo”.

La registrazione del dialogo è disponibile qui.