Qualche giorno fa abbiamo presentato nell’ambito della rubrica “Dialoghi, la domenica con un libro” l’ultimo lavoro di Gianni Cuperlo sul “Rinascimento europeo”. Abbiamo convenuto che il processo di integrazione dell’Unione europea ha avuto degli scatti in avanti, grazie alle elaborazioni politica e di pensiero, nelle fasi di rottura, spesso drammatiche. E’ stato evidente nella fase di emergenza pandemica, quando un dibattito annoso sull’opportunità di debito comune si è sbloccato per predisporre un piano di rilancio. Il percorso sembra essere peraltro ancora in divenire, a causa della crisi innescata dall’invasione russa dell’Ucraina. Si discute a livello comunitario di importanti passi di integrazione in settori strategici come l’energia e la difesa; sono tornate sullo sfondo, ma sono destinate a riaffacciarsi tra non molto, le richieste di chi chiede una riforma dei meccanismi del Patto di stabilità. Del resto, l’ultimo intervento del presidente francese Emmanuel Macron, preceduto da altri come quello del presidente del Consiglio Mario Draghi, ha lanciato ambiziosi suggestioni che vanno nella direzione, attraverso una modifica dei trattati, di una maggiore integrazione.

A me sembra in tutta onestà, e anche questo è emerso nello stimolante confronto che ho avuto con Cuperlo, che questa importante e meritevole discussione sia ancora carente di una questione fondamentale. Ovvero che una reale integrazione europea finché prescinderà dalla formazione e dallo sviluppo di un’opinione pubblica, e quindi dalla nascita di forze politiche, europee, sarà sempre incompleta e imperfetta. Mi riferisco a un livello di discussione politico e culturale dove i problemi e le questioni che riguardano l’Ue in quanto tale, e non esclusivamente gli effetti nei singoli contesti nazionali, e soprattutto non solo lo scontro tra chi piccona l’Ue e chi la difende acriticamente, abbiano la possibilità di essere approfonditi, di accendere critiche, opinioni, suggerimenti, passione e prese di posizione. E’ sufficiente, per rendersi conto di questa urgenza, fare mente locale rispetto alle recenti questioni al centro del confronto nell’ambito delle istituzioni comunitarie, e quindi tra governi. La voce delle grandi famiglie politiche europee, a cominciare dai socialisti e dai popolari, è pressoché assente.

E’ un segnale in questo senso, che può valere come un nuovo inizio di un percorso da rafforzare, la proposta – avanzata dalla Commissione per gli affari costituzionali del Parlamento europeo e approvata in plenaria il 3 maggio – di una riforma elettorale europea. Prevede l’istituzione di un collegio elettorale europeo per eleggere 28 europarlamentari, oltre a quelli eletti nei collegi nazionali e regionali, e la possibilità di promuovere liste transnazionali guidate dal candidato per la carica di Presidente della Commissione. Un tentativo di cominciare a sottrarre il dibattito pubblico e politico europeo all’esclusiva voce dei governi, “stimolando” la nascita di una classe politica a legittimazione elettorale comunitaria. Che risponda quindi ai cittadini europei, non solo a quelli dei singoli stati.

Michele Fina