Il fatto rilevante delle ultime settimane è la progressiva emersione, nel percorso di avvicinamento alle elezioni europee del prossimo anno, di una “faglia tematica” destinata a dividere gli schieramenti in campo. Quella consultazione elettorale è destinata ad avere un peso politico inedito per la storia dell’Ue. Sarà l’opportunità per il campo dei conservatori, come accaduto in Italia per gli affiliati Fratelli d’Italia, di entrare nell’area di governo. Non è un caso che sia proprio Giorgia Meloni ad essersi accreditata come regista di questa operazione: l’avvicinamento ai popolari nasce dall’obiettivo di costituire una nuova maggioranza e a spezzare l’alleanza di questi con i socialdemocratici che ha costituito l’asse che ha guidato l’Unione dal 2019 a oggi. Il nuovo interesse per operazioni politiche di scala continentale non deriva naturalmente da capricci o casualità, ma dell’evidente rilevanza che hanno assunto le decisioni degli organi europei negli ultimi anni. Da quando la transizione ecologica si è affermata, perfino prima dell’esplosione della pandemia, come una priorità strategica adottata dall’Ue, le decisioni prese dalle sue istituzioni, a cominciare dalla Commissione, hanno assunto un peso maggiore nell’ambito dei singoli stati nazionali. Per governare l’Italia è essenziale, sintetizzando, governare l’Europa.

Il programma per arrivare al ribaltamento i partiti euroscettici e sovranisti, a cominciare dal fronte guidato da Meloni, lo hanno reso manifesto da tempo. Non solo e non tanto nei proclami dei comizi elettorali, e nelle campagne nazionali che si sono succedute negli ultimi mesi, quanto piuttosto e specialmente nella postura adottata nei confronti dei frequenti provvedimenti a sostegno della transizione ecologica su cui è aperto il dibattito nelle istituzioni comunitarie. Dalla riqualificazione energetica degli immobili alla riconversione dell’industria dell’auto, solo per citare due tra i pacchetti di misure più simbolici, la linea è ed è stata quella di opposizione per l’ammorbidimento quando non per l’annacquamento dei provvedimenti, in un approccio politico e comunicativo del tutto simile a quello adottato nel pieno dell’emergenza Covid quando attraverso una dura contestazione nelle sedi istituzionali si creava il link con i movimenti e i contenuti estremi ed antiscientifici. In questo caso si fa oltre che con i negazionisti climatici con la frustrazione di una parte della popolazione, specialmente le fasce più vulnerabili, spaventata dai rischi dal cambiamento. Le potenzialità di espansione sono come è evidente notevolmente più ampie rispetto alla fase di ricerca del consenso di chi contestava le norme contro il contagio.

E’ bene che le forze progressiste prendano una volta per tutte coscienza di questa pericolosa saldatura tra le destre e il negazionismo da un lato, e la facile propaganda contro la transizione energetica dall’altro. Pericolosa da un punto di vista elettorale, ma anche a un livello storico e politico più profondo, laddove una sconfitta alle elezioni europee metterebbe a rischio tutto il percorso di avanguardia dal punto di vista ecologico costruito dall’Unione europea in questi anni. Prenderne coscienza significa innanzitutto interrogarsi sull’improduttività di una linea di comunicazione su ambiente, clima e transizione che finora ha lasciato prevalere i divieti, i limiti, le restrizioni piuttosto che le opportunità.

 

 

Michele Fina